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Recensione di "Poetry"

26/04/2011 | Recensioni |
Recensione di Poetry

La trama, raccontata in poche righe, potrebbe indurre a considerare Poetry uno di quegli esotici film da festival adatti solo a pochi cinefili snob: Mija, una donna di sessantasei anni che ha appena ricevuto la notizia di essere affetta dal morbo di Alzheimer, decide di iscriversi ad un corso di poesia; nel frattempo scopre che suo nipote, insieme ad alcuni amici, ha abusato sessualmente di una giovane compagna di classe che si è suicidata, ed il cui corpo vediamo galleggiare in un fiume nella sequenza di apertura.
Poetry è invece molto altro: è un’indagine sulla bellezza del mondo raccontata attraverso gli occhi di una donna anziana e malata, circondata dalla cattiveria e dalla superficialità del genere umano, che nonostante tutto trova la capacità di apprezzare particolari apparentemente insignificanti di cui prende continuamente nota su un piccolo taccuino. Ed è soprattutto una lezione di cinema e sceneggiatura per l’incredibile capacità del regista di sovrapporre tematiche assai differenti – lo scontro generazionale, la crisi di valori dei giovani, la disgregazione della società e della famiglia, la difficile condizione femminile in una società nonostante tutto maschilista – in  maniera assolutamente naturale, spogliando altresì la narrazione di ogni inutile orpello stilistico (musiche assenti, movimenti minimi di una macchina da presa che si limita a seguire i personaggi ed il loro vissuto).
Ma a colpire e commuovere è la protagonista Mija, interpretata da una superlativa  Ju Yunghee, che dinanzi a difficoltà apparentemente insormontabili ed agli atteggiamenti irrispettosi del nipote – al quale nonostante tutto vuole bene come un figlio – reagisce chiudendo gli occhi, facilitata anche dai primi sintomi di una malattia che la porta a dimenticare ed ad osservare con una sensibilità diversa il mondo che la circonda:  il canto degli uccelli, la vista delle foglie di un albero, lo scorrere di un fiume. In questo modo, lo sguardo perso e sognante di Mija, il suo (apparente) distacco dalla realtà, racchiudono un messaggio che nonostante il fatalismo che permea ogni sequenza può dirsi ottimistico. Un tentativo sincero di indurre anche lo spettatore a soffermarsi sulla bellezza di ciò che ci circonda attraverso una riscoperta della sensibilità della propria anima che nel film si compie grazie alla Poesia.
E sono proprio la sincerità delle intenzioni, il romanticismo, così come la sobrietà e la leggerezza di uno stile che crea un’atmosfera ovattata nonché un piacevole effetto ipnotico, a fare di Poetry un’opera assolutamente imperdibile. Ed il finale, che sarebbe ingiusto raccontare, oltre ad essere una delle sequenze più belle e perfette viste negli ultimi anni, rappresenta un autentico saggio di messa in scena cinematografica.  

Mirko Medini

 


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